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Professionisti ordinistici: senza “rilancio”, verso il “raddoppio” (del contenzioso)?

Professionisti ordinistici: senza “rilancio”, verso il “raddoppio” (del contenzioso)?

Come noto, il c.d. “Decreto Rilancio” (DL-34-2020), all’articolo 25, prevede l’erogazione di aiuti a fondo perduto per i titolari di partita IVA colpiti da contrazione di ricavi a causa della pandemia di covid-19.

Ma quella sovvenzione (che può arrivare al 20% del calo di fatturato subito nel mese di aprile 2020 rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente) non spetta a tutti: ne sono esclusi (nonostante l’iniziale previsione, testimoniata dalle bozze del provvedimento che circolavano nei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione: disegno Decreto_Rilancio_13_maggio_2020) gli automoni iscritti alle casse di previdenza private. In sostanza, tutti coloro che sono iscritti ad un albo professionale.

Si tratta di una norma corretta?

La domanda è più retorica che reale: la violazione del principio di uguaglianza costituzionalmente sancito (art. 3 Cost.) è più che evidente.

Non si ravvisano ragioni concrete che possano discriminare un avvocato (o un ingegnere, un geometra, un notaio, un commercialista, un medico) rispetto ad un imprenditore o negoziante o artigiano o lavoratore autonomo iscritto all’I.N.P.S., in riferimento ad una situazione di emergenza che ha potenzialmente colpito tutti allo stesso modo. Peraltro, nella misura in cui l’aiuto è concesso anche ad autonomi e artigiani, una possibile giustificazione nemmeno può individuarsi nella considerazione dei diversi livelli di investimento di capitale rispetto alla forza lavoro.

Di certo, non può che ritenersi paradossale e canzonatoria la giustificazione espressa dal Ministro dell’Economia Gualtieri nel corso della trasmissione televisiva “Piazza Pulita” la sera del 21 maggio scorso: incalzato dal conduttore, sul perché il fondo perduto non spettasse ai professionisti, rispondeva “tanto quelli già prendono i 600 Euro” (chiaro riferimento al c.d. “Reddito di Ultima Istanza”).

Peccato che questo competa unicamente alle partite IVA che nel corso del 2018 avessero maturato redditi inferiori ad € 35.000 (limite che aumenta ad € 50.000 soltanto se le entrate del 2020 si sono ridotte di oltre 1/3).

Di conseguenza, se un avvocato nel 2018 ha guadagnato più di 35/50.000 Euro, quand’anche avesse subito ad aprile 2020 un azzeramento dei compensi, non avrebbe diritto ad alcunché. Un negoziante o un fotografo, nelle stesse identiche condizioni, si vedrebbe invece concedere dallo Stato a fondo perduto il 20% del minor volume d’affari subito al aprile scorso.

Né il diverso trattamento si giustifica in relazione al sistema previdenziale: non è l’I.N.P.S. ad erogare la sovvenzione (quindi non si vede quale rilievo possa assumere l’iscrizione a casse private), ma questa è a carico dello Stato (dunque finanziata, direttamente o indirettamente, con le tasse di tutti, compresi quelli che non ne possono beneficiare).

La realtà è che la vera ragione dell’iniquità risiede nell’esigenza di contenere la spesa (e allargare la platea a tutti i professionisti comporterebbe costi ritenuti eccessivi). Lo conferma Alberto Oliveti, presidente dell’ ADEPP (associazione delle Casse di Previdenza Private) che, intervistato recentemente, dichiarava: «Solo pochi giorni fa la sottosegretaria al lavoro, Francesca Puglisi aveva auspicato che l’esclusione dei professionisti da questa misura di sostegno potesse essere corretta dal Parlamento in sede di conversione del decreto in legge, un auspicio accolto da onorevoli appartenenti ad alcuni gruppi politici anche di Governo. Per il Mef la platea è troppo estesa e avrebbe un costo elevato per il Governo. Ma quanto vale, invece, la sopravvivenza di una parte attiva e importante di questo Paese?».

Nella previsione che il Decreto Rilancio non subisca correttivi in sede di conversione, la partita è persa?

Forse no.

Sarebbe del tutto opportuno che le singole associazioni di categoria (ordini professionali) alzassero la voce, finora troppo sommessa. Magari facendosi, alla mala parata, promotori di azioni collettive (quelle che un brutto angloneologismo definisce class actions) tese ad investire la Consulta circa la (ben dubbia) costituzionalità della norma in questione.

Altrimenti, si corre il concreto rischio che a tutelarsi ci pensino singolarmente molti professionisti: da qui un “raddoppio” del contenzioso. A tal fine, si suggerisce (preferibilmente rivolgendosi al proprio commercialista) di avanzare sin d’ora ed entro i termini di legge (che scadranno il 13 agosto) la domanda di erogazione all’Agenzia delle Entrate: solo contestando giudizialmente il conseguente rigetto potrà accedersi ad azione giudiziaria nella quale sollevare questione di costituzionalità.

 

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